Se Raffaella Carrà mi avesse telefonato, non avrei contato i fagioli, sono certa che mi avrebbe chiesto: “Valentina cara, se tu fossi una pianta, che pianta saresti?”. Avrei risposto che anche il pollice verde è appassito. Avrei pensato che un fiore è una scelta banale e poi sfiorisce, ha stagione e scadenza, un po’ come le piante. Mi sarei scervellata per trovarne una cazzuta, una che ce la fa o almeno tenta, a dispetto dello schifo che gira intorno.
Sono stata, sono e sarò sempre un cactus. Sono affetta da cactus mania.
E’ lunedì e sono vestita da cactus. E’ lunedì e mi sento un cactus, non credo sia una coincidenza.
L’estate ci regala sempre nuove tendenze. Questa che stiamo trascorrendo tra temporali e piedi in ammollo, è senza dubbio la stagione delle micro stampe a carattere un po’ urban che richiama subito il gusto street art. Mi spiego meglio: i negozi, soprattutto le grandi catene low-cost, sono invase da t-shirt con queste fantasie che ricordano molto i graffiti. Ammetto che in questo periodo sono un po’ allergica allo shopping, quello che ti fa venire gli occhi come Paperon de’ Paperoni ma doloroso per il bancomat, così mi fiondo in questi negozi a comprare cazzate. Ecco, l’ho detto.
Ho scelto un tema che mi rappresenta: ho deciso che questo è l’anno del cactus! Un po’ tipo il capodanno cinese, non che ci sia nesso, ma ho decretato in modo totalitario che questo è ciò che rappresenta ora.
Il cactus è una metafora di vita perfetta e completa. E’ quella pianta che trattiene tutto per paura di sprecare (non leggete tirchia perché sono tutt’altro. Vedi sopra), per sopravvivere anche in situazioni di forte disagio. Riesce a farcela anche quando il resto del mondo decide di mollare. E’ ricoperta di spine per proteggersi, ma non si capisce che grazie a queste spine sopravvive.
Siamo sicuri che stiamo parlando di una pianta grassa? a me sembra: “Descriviti in 100 parole…”. Prometto: se mi abbracciate, non vi pungo.
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