L’insulto non è un contenuto

L’articolo 9 del nuovo Manifesto per la comunicazione non ostile e inclusiva recita: “L’insulto non è un contenuto”. Pare scontato, ma così non è e il web ne è la reale dimostrazione: una palestra senza regole apparenti in cui tutto pare permesso. Non è più tempo di ignorare il fenomeno.

Secondo un sondaggio di SWG, odio e falsità fanno parte del nuovo modo di comunicare per l’80% degli intervistati, dato in crescita del 14% rispetto al 2018. 
Gay, migranti ed ebrei sono le categorie più colpite dal linguaggio violento, dato in crescita del +15% (gay), +9% (migranti), +12% (ebrei). Numeri confermati anche dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCAD) che registra una crescita di atti discriminatori verso le minoranze, del +186% dal 2014 al 2018.
Tuttavia, se l’antisemitismo cresce del +13, l’omofobia è in continuo calo (-12%) così come l’islamofobia (-14%).
Chi manca in questo sondaggio? le persone con disabilità. Non che ci sia ambizione a far parte del gruppo dei “presi di mira”, ma non rappresenta una fotografia reale del panorama della rete. Sappiamo che atti di bullismo verso le persone con disabilità accadono molto più che spesso e il linguaggio offensivo sdoganato attraverso l’uso di termini che rimandano a patologie o “accessori” della disabilità riempiono il web.

Le persone con disabilità ricevono due modalità di insulti:
– l’insulto diretto attraverso l’offesa contestualizzata;
– l’insulto indiretto: per offendere, per ridere, si continuano ad utilizzare termini che riconducono al mondo della disabilità. Es. “Sei talmente stupid* che meriteresti la pensione di invalidità” o ancora “Handicappato”.

Quest’anno il tema dell’edizione di Parole ostili era proprio l’incisività, l’accoglienza di generare un linguaggio produttivo di unione e non di esclusione. Ho partecipato come testimonial e ho adottato uno dei 10 punti del “Manifesto della comunicazione non ostile e inclusiva”. 
Dieci principi di stile a cui ispirarsi per scegliere le parole giuste, parole che sappiano superare le differenze, oltrepassare i pregiudizi e abbattere i muri dell’incomprensione. Parole che ci liberino da etichette, che non ci facciano sentire sbagliati. 
Ho scelto di rappresentare il punto n. 9: gli insulti non sono argomenti, perché sono parole lanciate al vento che si trasformano in boomerang difficili da gestire. Denunciare aiuta, ma non risolve. Una cultura attenta deve arginare i cattivi esempi e promuovere la fattibilità di questo cambiamento.
Questo Manifesto rappresenta un giusto cammino sulla strada della comunicazione democratica, seria e che pone al centro del mondo l’essere umano nelle sue mille diversità da accettare e portare come esempio di unicità.

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