Un corpo che vogliono macigno

Il mio discorso alla 4W4I di TIM, come proprietaria di un corpo non percepito.

Per arrivare a Roma ho preso 2 treni, una macchina e ho aspettato, aspettato e aspettato perché nel 2023 un corpo come il mio ancora non può scegliere, ma deve allearsi con il tempo, innamorarsi della pazienza e convivere con le opportunità. Uno pensa che la parola opportunità sia sempre positiva, ma in casi come questo, è il privilegio che mi sbatte in faccia che se riesco a fare qualcosa, spesso non è ne un diritto, né una garanzia, semplicemente “fortuna” che devo ringraziare, perché qualcuno l’ha permesso.

La parola autonomia prende il treno al posto mio e se ne va.

Ed ecco che la parola autonomia quel treno riesce a prenderlo al posto nostro e se ne va, lasciandoci eternamente incasellati in un immaginario bugiardo e non rappresentativo che non siamo: soldati di un esercito omogeneo, di corpi diversi pieni di esigenze speciali, eroi o eterni bambini rassegnati a mangiare le briciole della società.

Il problema non è la diversità, ma la validità, il non etichettare una data di scadenza sulla nostra fronte, a non farci incasellare in stupidi identikit che riusciamo a sfatare giorno dopo giorno. Perché per esistere dobbiamo sempre dimostrare qualcosa? si chiama abilismo ed è violento praticarlo e subirlo, è avere la disabilità come metro di misura: credenze, pregiudizi e atteggiamenti discriminatori nei loro confronti.

Siamo ancora nella fase in cui una persona con disabilità deve chiedere a qualcun altro se può pensare al futuro, perché la garanzia basilare non è contemplata: al massimo la sopravvivenza. È questione di corpo, di immagine di contenitore a discapito del contenuto, di una cosa invece che di essenza. Sono proprietaria di questo corpo che mi fa programmare al millesimo la mia vita perché il mondo non sa accogliere le esigenze, non perché ho un corpo prezioso prezioso o fragile, ma perché non è un imprevisto da gestire: a partire dalle mie ruote che non sono le ruote di tutti, ma sono le mie, che non si piegano, dal percepirmi come persona singola, perché si sa, una persona con disabilità è prima di tutto la sua malattia e se uno è malato va accudito e non supportato.

A spasso con un corpo ribelle

Siamo abituati ad infilare nel calderone della disabilità tutto ciò che secondo noi non incasella un concetto di normalità che ci tramandano i media e che subiscono anche le istituzioni e quindi automaticamente se è uno ha qualche necessità in più, è un essere speciale, un carico di bisogni speciali in un mondo che fa fatica a scindere i diritti dalle necessità.

Pensiamo che una persona con disabilità debba vivere in branco, quantomeno a multipli di 2 come il braccio e la mente o ancora meglio creando cose di disabili, con disabili, per disabili, perché il concetto di inclusione ormai è violato nella sua essenza e, a mio avviso, ha perso ogni benefici nascondendo a sua volta una forma di discriminazione: non ci sarebbe bisogno di specificare l’inclusione, dovrebbe nascere già così. 

Sempre di più siamo corpi diversi, ma alleati, ribelli, che dissentono davanti ad ogni sorta di omologazione, fieri di rivendicare un domani in cui ogni corpo, al di là di pregiudizi e stereotipi, possa essere riconosciuto come valido, degno di occupare il proprio posto nel mondo. 

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