Amore, casa, lavoro…poi Festivaletteratura. Il Ménage à trois legato alla monotonia della vita di tutti i giorni subisce uno stop per 5 giorni all’anno, proprio durante il Festival.
Mossi da una repentina voglia di cultura o forse di presenziare alla vita accesa della città, fiotti umani invadono le vie e i luoghi degli eventi.
Ieri è stato dato gas alla grande macchina organizzativa, un inizio col botto l’evento con Michele Serra, Federico Taddia e un pò di ‘sdraiati’, un allegra combriccola in Piazza Castello.
Un padre, un figlio, un divano, la vetta di una montagna: sono i quattro lati del perimetro in cui si gioca un incontro/scontro tra generazioni. Rimorsi, sensi di colpa, provocatori j’accuse e bandiere bianche alzate fanno da contorno a smartphone, tablet, comportamenti multitasking e istinti apatici: giovani e adulti hanno ancora cose da darsi e da dirsi?
Incontro tutt’altro che facile per Serra, più che un evento culturale, un incontro a metà tra il generazionale e un ring di boxe di parole. Mi sembrava un’immagine di occupazione studentesca o una grande tavolata famigliare (tavola in senso lato omessa) dove il rapporto genitore/figlio era messo in discussione dalla notte di tempi.
Sul palco oltre a lui e a Taddia, un gruppo di liceali romagnoli che hanno tenuto banco per l’intero dibattito/scontro spulciando, scorticando con fare maniacale l’oggetto del contendere: “Gli sdraiati”.
Chi sono? Gli sdraiati è un romanzo comico, un romanzo di avventure, una storia di rabbia, amore e malinconia. Ed è anche il piccolo monumento a una generazione che si è allungata orizzontalmente nel mondo, e forse da quella posizione riesce a vedere cose che gli “eretti” non vedono più, non vedono ancora, hanno smesso di vedere. Un rapporto presente/assente tra un padre che parla troppo e un figlio che parla troppo poco, ma forse ascolta più di quanto sembra. Freud dava ai genitori due notizie, una cattiva e una buona. Quella cattiva: il mestiere del genitore è un mestiere impossibile. Quella buona: i migliori sono quelli che sono consapevoli di questa impossibilità. Tempo pochi minuti in cui Serra decanta quanto di autobiografico si possa leggere in quelle pagine, che gli sdraiati del palco partono all’attacco con dita puntate contro l’autore. Tra tutti ricorre sempre questa cristica: nel libro vi è una generalizzazione e omologazione della figura del Figlio, troppo poco realistica e molto di comodo. Serra, forse, si aspettava un evento di elogi o di monologo sull’opera, mentre si è trovato in una trincea dove alla fine non è uscito completamente vincitore. Spesso zittito dall’irriverenza giovanile, l’autore ha cercato di galleggiare nel mare ideologico che ha supportato quelle righe scritte: non una pretesa sociologica di affermare che è proprio così il mondo giovanile, ma semplicemente la sua esperienza di padre che nota l’indolenza nei giovani, per “definirvi sdraiati non deve per forza essere recepito come un’offesa, a ma come aggettivo di un comportamento che ancora non comprendo fino in fondo. Una sorta di ‘mutanti’ e non so se sia un bene o un male e da padre sono un pò in ansia.”
Quello che è emerso da questo incontro, secondo me, è la sete di affermazione da parte di quei giovani etichettati, che a piena voce hanno cercato di trovare o ritrovare una connotazione di merce non in semplice esposizione ma diversa una dall’altra per forma e contenuto.
Direi che come inizio non è stato male, oggi sono pronta per l’evento con Don Ciotti e stasera per rivedere il mio amato Beppe Severgnini.