Raccontare la propria condizione di salute sui social non è giusto o sbagliato, è una scelta che ogni persona può affrontare. C’è chi sceglie i social, chi il silenzio, ma non dovrebbe essere motivo di fazioni. Lo ammetto, da quando Fedez ha pubblicato su IG, le stories raccontando di un suo problema di salute definito importante, non faccio altro che pensarci: per lui, per la sua famiglia, per chi si immedesima in una situazione analoga, per chi ha un motivo in più per odiarlo e non ha altro da fare per impiegare il tempo. Penso alla spinta della rivelazione pubblica della malattia o problema, del bisogno psicologico di farlo e di cosa, invece, spinge i soliti leoni di tastiera, a giudicare, perché siamo bravissimi a valutare il messaggio soprattutto in base a chi lo emette. Perché una persona non può sentirsi libera di “chiedere aiuto” in questo modo? è questo che Federico ha chiesto indirettamente: un supporto, una vicinanza, una presa di coscienza di un nuovo percorso di vita raccontato in 1ª persona per non lasciare false interpretazioni. Raccontare il proprio disagio, anche attraverso i social è un atto terapeutico di libera scelta.
Quando la malattia è una notizia virale?
Michela Murgia, Vialli, Baricco, tutti hanno utilizzato i social per raccontarsi anche in un momento di down. Poi il 17 marzo Fedez ha annunciato il suo problema e un secondo dopo, la notizia è girata su tutti i media e social con diversi atti di vicinanza, ma anche con tanti commenti negativi: “La malattia è privata, perché dirlo pubblicamente?”, perché la malattia è privacy a prescindere. Non solo, questa rivelazione ha innescato anche un meccanismo morboso negli utenti social, rendendo virale la notizia e facendo aumentare la community di 500 mila followers assetati di curiosità sulla patologia o altri dettagli.
La malattia è sempre un argomento tabù, un argomento che genera fazioni su come affrontarla. Fortunatamente al mondo non siamo tutti uguali e scegliere cosa fare della propria situazione, è importante.
Perché le parole di Fedez hanno scatenato tanto odio?
Dobbiamo essere sinceri, con Fedez siamo sempre un po’ prevenuti: per la sua vita, per la sua famiglia, per le sue idee, siamo spesso pronti a scattare come faine ad ogni sua parola. Abbiamo dimenticato come in tantissime occasioni, i social sono stati d’aiuto a tantissime persone dando vita a un circolo virtuoso che ha creato rete di supporto e sostegno, ed è servito proprio a fare divulgazione su specifiche patologie, allargando così il dibattito e aiutando migliaia di persone a sentirsi meno sole. Raccontarsi liberamente senza tabù e pregiudizi scatena in tante altre persone una sindrome di invidia latente, che spinge a scrivere commenti in rete di cattivo gusto.
Sono tanti gli esempi negli ultimi anni, sia nazionali che internazionali: storie di malattie, di recidive, di convivenze croniche, che si compongono sempre di un pubblico che utilizza la notizia come zattera di salvataggio per sentirsi capito e di sprone, o in modo negativo, per additare e sputare odio. Ci ricordiamo di Billie Eilish? Nel novembre del 2018, per esempio, erano stati pubblicati alcuni video in cui manifestava dei tic, per deriderla. La cantante, attraverso il suo account Instagram scriveva: «Vorrei essere chiara così che tutti quanti potete smettere di sembrare sciocchi. Ho diagnosticata la Sindrome di Tourette». Aveva raccontato che non l’aveva mai detto sui social fino ad allora, perché non voleva essere associata unicamente alla sua malattia. Ma quella sua story ha spinto tante altre persone a raccontarsi, ad aprirsi e a non vergognarsi. O Emma, che aveva condiviso, sempre su Instagram, del suo tumore all’ovaio, della recidiva e, nel 2020, della visita di controllo in cui «dopo tanti anni mi sono sentita dire che va veramente tutto bene, finalmente». Anche Teresa Cherubini (figlia di Jovanotti), aveva confessato tramite il suo profilo Instagram: «Per gli ultimi sette mesi ho tenuto un segreto, faccio fatica a raccontare una storia prima di conoscerne la fine». La storia è una diagnosi di linfoma di Hodgkin, un tipo di tumore, e sei cicli di chemioterapia che l’hanno portata il 12 gennaio 2021 a essere dichiarata ufficialmente guarita.
Raccontare la malattia come divulgazione culturale
Ci sono, infine, esempi di persone che online raccontano la propria condizione di salute per divulgare e far conoscere ad un pubblico allargato una condizione di malattia che comporta una gestione di vita alternativa: pensiamo a tutte quelle persone con disabilità motoria o sensoriale o intellettiva che attraverso i social, informa sulle possibilità di gestione quotidiana: come ad esempio i Terconauti, Ilaria Galbusera o chi racconta una malattia non troppo conosciuta e che meriterebbe maggiore sensibilizzazione anche da parte delle istituzioni, come Giorgia Soleri che sta portando a conoscenza di diagnosi la vulvodinia.
E senza fare troppi giri, anche io sui social faccio questo: racconto di me, di ciò che vivo, cercando di informare chi ha una situazione simile, cercando di non rimanere incastrata nella mia malattia. I social, per me, sono terapia, sono utili a capire come migliorare la mia condizione: se ho la patente è merito dei social, perché ho conosciuto una ragazza come me, che già guidava. E parlare di salute si può: ognuno se la gestisce come può, come sa, come vuole, anche nell’affrontare una notizia tragica.
Non fossilizziamoci sul giusto o sbagliato, se possiamo avere l’occasione di ascoltare.
2 risposte
Ho scoperto nel 2016 di avere una patologia, fino a quel momento a me sconosciuta. Non ero social, ne ho parlato solo con gi amici e i medici. In seguito ho scoperto su fb un gruppo dedicato a malati (e ai loro parenti) con la stessa patologia: sono entrata in quel gruppo durante il primo lockdown, per condividere ciò che avevo imparato, per aiutare con qualche informazione, anche pratica su invalidità e legge 104, chi si trova davanti medici poco comunicativi, per confortare, ma anche per ricevere conforto. Ricevo tanto da questo scambio…
Il “problema” con Fedez è che c’è molta invidia nei suoi confronti, come se fosse una colpa essere benestanti e, magari, poter accedere alle cure private e, quindi, forse, più tempestive. Se c’è una cosa democratica al mondo, è la malattia: colpisce indistintamente e l’esito dipende sia dalla precocita della diagnosi che dalla risposta di ciascuno alle cure. E ognuno sarà libero, nel rispetto altrui, di decidere se raccontare o meno e, se sì, in che termini? Tra l’altro, esposto com’è, non credo avesse molte scelte: avesse taciuto, scommetto che sarebbe emersa ugualmente qualche notizia , con tanto di sciacallaggio da parte dei paparazzi.