Signore e Signori, mi chiamo Valentina e sono una principessa, di quelle moderne però, un po’ rock e tanto social. Di norma non m’inchino mai, mi cadrebbe la corona.
Da 33 anni 3 mesi e 28 giorni sono comodamente seduta. Dicono che per questo non dovrei mai lamentare stanchezza. C’hanno quasi ragione.
Non vi racconto la mia vita come una scatola di cioccolatini, piuttosto come una busta di insalata mista a 99 centesimi, di quella che va a ruba, di quella comoda pronta e mangiata. Mettetevi comodi.
Sono servita, riverita, trasportata, meglio di Kate Middleton e ho un culo più sodo di sua sorella Pippa: vedete a cosa serve scarrozzare sulle buche di Mantova? trattamenti estetici per culo di marmo, ma anche qui, mai una gioia, sempre seduta il ben di Dio è riservato a pochi eletti.
Ebbene, qui davanti avete una Maria Antonietta che tra lustrini e colori, imperfetta come un Picasso, osannata come Mandela, è sbocciata a primavera. Ormai i red carpet mi annoiano, le telefonate con i giornalisti sono un mantra, il campanello di Porta a Porta mi martella in testa.
Per favore datemi tregua, non posso essere una e trina, ormai devo fare selezione, faccio una raccolta differenziata delle proposte: non posso essere a cena da Cracco a Milano e in fila per la crociera sul Rio, che poi avete capito bene? crociera e Rio nella stessa frase, c’è qualcosa che non quadra: nemmeno un drone per raggiungere la canoa, solo delle inutili e banali scale. Nemmeno una sigla, dei coriandoli o un motoscafo dell’amico Briatore. Stiamo scherzando? Agli eventi ho sempre la 1° fila che mi attende, non sapete la noia. E ogni volta che voglio visitare un luogo pubblico, un museo o teatro? il mio staff deve fare domanda in carta bollata, peggio del reparto sicurezza di Obama. Questo mi rende così equilibrata. Prima o poi darò di matto e mi presenterò nel primo museo che incontro, così per lanciarmi nel vuoto. Anch’io voglio fare cazzate, si chiama istinto. Sia chiaro: io non me la tiro, me la trascino. La vita rosa e fiori nasconde delle spine. La mia si chiama Mantova e giace sempre lì tra la 3° e 4° costola, proprio sotto al cuore. A volte, dolora. Altre, mi solletica. Mi muovo e non mi segue, parlo ma non mi ascolta. Vanity Fair, la Rai e il Corriere m’inseguono come rabdomanti con l’acqua, qui deserto dei tartari: un progetto di anti-discriminazione di questa portata meno importante di uno Swatch rosso a a scadenza 2016. Guardare lontano, guardare oltre, prospettive che non sono architettoniche, niente muri o forse solo da abbattere, senza riempirsi la bocca di tortelli, nessuna differenza perché è qui che siamo Capitale della cultura. Sbaglio? forse ho sbagliato canale, perché quella che vi sbatto in faccia questa sera è cultura che non puzza di snob, al massimo profuma di vita. La realtà è che: nessuno è profeta in patria. E così via con le valige sempre in mano, perché fermarsi è un po’ morire.
La mia vita è un Grande Fratello, l’ho deciso io. Sono una donna ‘socialmente utile’ e no la beneficenza qui non c’entra. Io rendo pubblico tutto ciò che mi riguarda: posto su facebook, fotografo per instagram e in 140 caratteri vi tweetto ciò che il mondo si merita. Perché nascondersi? Qui c’è solo da evolversi. Mi piace che gli altri vedano quanto di sano c’è in chi viene giudicata tutto il contrario, quindi sono passata dritta al sodo senza passare dal via, sono quella che si è spogliata mentre tutti vorrebbero coprirmi. Un po’ di pizzo nero, qualche scollatura e sorrisetto da Vogue e il gioco è fatto [vedono gli ignoranti bacchettoni], donna diversa ma uguale a tutte le altre [vedono i lungimiranti]. In verità…l’handicappata con le palle d’acciaio che gioca a bowling con i coglioni bipedi che danno aria alla bocca, questo sono io. Li vedi eh questi, sono lì belli come il sole col bollino in fronte tipo banane, hanno un identikit depositato: uomini o donne mediocri che dietro ad un pc blaterano frasi sconnesse da pacche sulle spalle, in verità sono persone da pacche nelle palle. A mitraglia. Troppo spesso mi manca l’enzima per digerire certe persone, quelle che sono già arrivati ad un conclusione, quasi sempre errata, di come può scorrere la vita di chi è diverso. Ma diverso da chi, sarebbe la mia prima domanda. Cerco risposte. Anche usate. E anche sbagliate. Tanto ciò che importa sono le domande, ma quelle le ho tutte.
A volte mi chiedo dove sbaglio, ma a voce bassissima che se mi sente mia madre poi risponde davvero tirando fuori le slide come Pagnoncelli. Io mi rispondo in autonomia, davanti allo specchio che è mio amico, da sempre e mi vedo…con il rossetto perfettamente indossato e i capelli all’ultima moda, perché è così che voglio essere: geometricamente perfetta.
Sento ogni singolo pensiero che state facendo, ogni singola domanda mi arriva anche senza che emettiate suono, non spaventatevi, i punti interrogativi non sono mai armi se utilizzati in modo intelligente. Magari è la volta buona che imparerete la differenza tra guardare una persona e vederla. Non ve la svelo però la soluzione, voglio lasciarvi la libertà di continuare a sbagliare. Non ho la presunzione di risolvere, ma solo di far parte del mazzo.
Quanto so essere ingombrante e quanto è complicato starmi accanto: ogni mattina mi sveglio meglio di Mc Gyver, mille idee, tanti progetti: la gente dice che faccio venire la balla per capire dove sono e non riesce nemmeno a seguirmi. Ci credo: io ho le ruote. Le ruote sotto al sedere, le ruote in testa, ma soprattutto le ruote che mi portano lontano perché ho sempre bisogno di scappare, andare, un moto a luogo qualsiasi, la noia è la mia ombra. Forza, non è complicato tenermi il passo, a volte mi perdo anche da sola, consolatevi.
Pensate a quel povero cristo che mi vuole un po’ più di bene ma meno di ti amo, cosa deve sopportare? si guadagnerà un posto sul calendario, come santità. Pensate che quando siamo insieme siamo semplicemente un uomo e una donna che ci provano a costruire ancora non si sa bene cosa, ma lo show migliore è quando siamo in mezzo alla gente. Io le vedo le faccine, potrei mettere in fila gli emoticon di whatsapp. Eppure volersi è così semplice. Non sono una donna da libretto d’istruzioni, non ho bisogno di patenti speciali, i miei ingranaggi oserei definirli svizzeri. Poi mi fermo e penso…Cosa m’interessa di trovarmi un fidanzato? ci ho messo 33 anni per avere la vita che voglio. Davvero voglio qualcuno attaccato alle ruote che mi guidi meglio di un Tom Tom?
Non per tutto ho la risposta pronta, ma si dice che “L’errore più grande che puoi fare è togliere i gioielli dalla tua corona perché un uomo la possa reggere con più facilità. Quando ciò accade bisogna che tu capisca che quello che ti serve non è una corona più piccola, ma un uomo dalle mani più grandi.” Ma soprattutto io alla mia corona non rinuncio manco per un cazzo #sapevatelo.
Spente le luci, tolti gli abiti da scena, rimasta io con la Vale e la Vale con me, ragiono e tiro le somme su cosa mi manca davvero. Se chiedessi a voi, sono certa salterebbe fuori la lista della spesa o un bugiardino medico, mentre sono consapevole che le cose che vi dirò ora suoneranno solo come 2 enormi cazzate.
Pensate un attimo alla banalità di mollare tutto e andare, soli, dove vi pare, quando vi pare. Starmene allegramente per i cazzi miei. Non fattibile: sono peggio di Peter Pan che litiga con la propria ombra, la mia è sempre così affollata, 2 o multipli, ma mai io. Sono sempre gli altri che devono prendere la decisione di andarsene o sono io che gli devo sbattere in faccia che voglio rimanerci, qui. Non potrò mai fare quelle scene da film americano in cui si litiga ferocemente e ognuno va per la propria strada. Sempre con me o io con loro, a volte mi piacerebbe soffrire di solitudine, numericamente parlando. E invece, quando m’incazzo ad esempio, sfiato come una pentola a pressione e vomito addosso al malcapitato le peggio cose. La sensazione è quella di un animale in gabbia che sa che dev’essere domato. Alla fine però, sembro sempre Grimilde.
E pensate a quanto è bello camminare accanto ad una persona, il condividere uno spazio allo stesso livello, il parlarsi vicini e perché no la possibilità di sentire i bisbigli o il respiro dell’altro. Leggere in faccia le emozioni quando parli. Ecco tutto questo no non è fattibile. Io vado spinta, accompagnata (termini che odio tanto quanto dieta). Accade quindi che il mio ruolo è quello della piccola vedetta lombarda, sempre davanti che scruta l’orizzonte, manco fossi un co-pilota, alla fine la mia altezza di crociera è a livello dei sederi altrui, immaginatevi. Io parlo, parlo sempre, a caso e non, ma in questa situazione sembro esattamente una guida turistica pazza che blatera al vento.
Alla fine la conclusione è sempre questa: “Siete d’accordo con me che chi mi vede mi da dell’handicappata e chi mi guarda bene, e mi conosce, mi da della stronza?”
Monologo letto dall'attrice teatrale Silvia Gandolfi durante l'evento "Boudoir Disability. Guarda e dimmi cosa vedi" tenuto il 6 aprile a Porto Mantovano (MN).