L’intolleranza al lattosio non è una moda, ripeto, non è una moda.
Sono stata punita perché devo aver molto peccato. Anni e anni, praticamente una vita di mani sporche di Nutella, bocca piena di ovetti Kinder, panini al prosciutto cotto da brava bambina, poi di colpo: la fine, il divorzio alimentare e i vaffanculi che si levano alti nel cielo ogni volta che sento fame.
In un attimo il mio corpo ha suonato il dong al tappeto del ring del mio chilometrico intestino, chiedendomi pietà: dolori di pancia come quando si partorisce una cucciolata di San Bernardo avendo un corpo da bassotto, nausea perenne, mal di testa da stacanovista incallita anche se si è beatamente spiaggiati sul divano, giramenti di testa come vivere sulle montagne russe. Soprattutto una fitta relazione col trono di ceramica che aspetta solo compagnia.
Sono ormai più di 2 mesi che ho la certezza di dove rinunciare al latte e ai suoi derivati, così oggi voglio esprimere qui tutta la mia incazzatura, perché so che è comune, che in questa situazione siamo davvero in molti, a piangere lacrime amare (lo zucchero fermenta).
“Valentina sei diventata intollerante al lattosio” è l’ultima frase che ricordo, poi il buio. Una frustata casearia sul collo e nello stomaco. Io amavo sedermi a tavola, pranzi e cene a provare ristoranti ed assaggiare la buona cucina. Appetito da taglialegna di montagna, tra scarpette e ricette, io ero una buongustaia. Non lo sono più, non posso più esserlo forse è la risposta corretta. Mi sono trasformata in una specie di salutista ai lavori forzati, intenta più a leggere gli ingredienti che a gustarmi il sapore di ciò che ingoio. La sto vivendo talmente male che mi deprimo ogni volta che mi metto a tavola, se poi questo avviene in compagnia, meglio piangerci su perché mi sazio di tutte le parole che raccontano gli altri, sul loro cibo.
Ormai sono fatta della stessa sostanza della pasta in bianco, del petto di pollo ai ferri e delle patate al forno come massimo della fatica gourmet. In questo periodo sono più i “no” e i “non posso mangiarlo” che mi escono dalla bocca che i “ciao”. Ho dovuto dire no a tutti i formaggi tranne al grana super stagionato, alle pere, al prosciutto cotto, ai biscotti più buoni, al gelato, ai funghi, a certi condimenti per la pasta, alle compresse di qualsiasi tipo (compreso la pillola), a certi cereali e verdure, ai fritti, insomma a vivere. Sì perché anche ciò che non contiene lattosio direttamente può contenere tracce per lavorazione o per contatto con altri alimenti. E poi per migliorare la salute intestinale nella fase più acuta dell’intolleranza al lattosio (soprattutto appena si scopre) è bene ridurre il consumo di carboidrati, fibre, cioè tutti quegli alimenti che possono irritare e fermentare nell’intestino.
L’intolleranza al lattosio è una brutta bestia per chi ha fame. Non c’è cura, se non la pazienza che vai a ripescare in fondo ai piedi, quella che ti serve per non picchiare la testa nel muro e preferire lo svenimento al sostentamento. “Attenta a ciò che mangi! leggi e chiedi” e così ogni pasto diventa un lavoro, un’intervista piena di secondo me puoi che si trasformano in un roulette russa che finisce in una seduta in bagno così a lungo da pensare di trovare una nuova stagione all’uscita.
Anche se l’azzardo è chiaro, inizio a capire i vegani che ogni volta devono spiegare cosa vogliono o non vogliono mangiare, sento i loro vaffanculi che aleggiano trionfanti ogni volta che si mettono in bocca il cibo. Ecco, ora quei vaffanculi li possono condividere con me, anche se per loro è una scelta, per me è una necessità.