L’avevo detto che, a mente fredda, avrei rimesso insieme i pezzi dell’episodio “salviniano”, che ha visto Porto Mantovano come triste piazza di quell’assenza di democrazia che va crescendo nella nostra Italia.

Come fossi davanti alla corte con Perry Mason, con il tenente Colombo e Barbara Palombelli a moderare questa strana puntata di Forum (ma anche “4° grado”), voglio raccontare cos’è accaduto in quel caldo pomeriggio del 3 giugno, in piazza della Resistenza del mio piccolo paese.
Giuro solennemente di dire la verità, tutta la verità e nient altro che la verità e i motivi sono abbastanza certi:
1) ho rispetto per Piazza della Resistenza, perché se sono qui a scrivere, più o meno in libertà, è anche per chi ha lottato al mio posto, prima di me;
2) nella vita faccio la giornalista e per me il “dovere di cronaca” è un po’ come il giuramento di Ippocrate per i medici: non salvo vite, ma salvo il diritto di conoscere;
3) perché è finito il tempo di ascoltare voci, cose folli e velate minacce, messe in giro per screditare, che hanno la valenza della flatulenza provocata da una porzione doppia di fritto di paranza.

Sono andata ad un comizio di Salvini nel mio paese, perché sono una donna pensante (che non è sinonimo di pesante), perché mi sento libera di poter ascoltare anche ciò che non mi piace, per avere in mano tutti gli elementi di valutazione e riuscire a confezionare un pensiero.
Ero io, la mia carrozzina, due amiche e niente di più.
Il comizio si è concluso con un ragionamento contorto, direttamente dal microfono del palco, su quanto fosse sinonimo di potere decidere di prolungare la navigazione di una nave di migranti non verso le coste siciliane (approdo geografico più consono), ma dirottarla fino a Genova. In quel momento ho capito di aver concluso gli elementi necessari per formulare un pensiero: io in quella piazza non c’entravo nulla. Non c’entravo perché l’esaltazione di un potere istituzionale non lo rivendico sulla pelle degli altri, non c’entravo perché non mi servono applausi per sentirmi parte di un mondo, non c’entravo perché mi sento un essere umano diverso.
Il comizio finisce, Lui si concede ai selfie di rito direttamente sul palco e la piazza inizia a svuotarsi. A qualche metro da me, arriva un ragazzo, depone a terra 3 fogli (manifesti sono altri) con 3 frasi che riassumevano lo stato d’animo di molti. Ancora con il nodo in gola, mi avvicino, leggo e ringrazio per la sua manifestazione di dissenso così composta da essere la mia unica speranza e certezza su quel fazzoletto di cemento. I carabinieri anti-sommossa si avvicinano, ma non fanno nulla, non tolgono, non proferiscono ordini, fanno cordone, vista anche la mia presenza di soggetto debole. Appoggio due ruote della mia carrozzina su uno di quei fogli. L’ho fatto per me, per chiedermi scusa per aver sottovalutato l’ascolto di tutte quelle frasi ripetute a macchinetta da quel palco, l’ho fatto per dissentire senza rovinare la festa a chi la pensava diversamente da me. Tutto regolare, finché un militante o simpatizzante “verde e anziano” (caratteristiche da tenere in considerazione in ordine sparso) si è diretto verso i fogli, dandogli calci per appallottolarli, tipo toro in arena, non contento si è diretto verso di me, strappando il foglio che tenevo sotto le ruote e riuscito nell’impresa, a 10 cm dalla mia faccia mia spiegato cosa fossi: “Tu sei un’handicappata!”. I carabinieri spostano il signore, rendono i brandelli dei fogli e festa finita senza nessun’altra azione. Nessuna.

Fin qui nulla di strano, “handicappata” è etichetta banale che mi porto cucita addosso da 36 anni e che ormai mi solletica i lobi delle orecchie, finché l’azione fisica non viene mescolata al danno morale di invasione di spazio vitale e non considerazione come essere pensante. Fortunatamente vivo col cellulare come prolungamento degli arti e parte di questo show alla “Mai dire banzai” è finito in un video che ho reputato fosse interessante per l’opinione pubblica: la gente deve sapere che la temperatura della piazza non riguarda mai solo il meteo. Si sa che l’informazione dovrebbe stare alla base di un popolo, giusto per conoscenza e non per sentito dire.
Quest’esperienza mi ha fatto male e non solo per i fatti concitati che, seppur sbagliati, preferisco “incriminarli” per il caldo e il carattere poco incline all’inclusione e la rassegnazione di non saper comunicare in altro modo se non con la violenza di quel caro signore.
Credo invece, di aver imparato che non tutto scivola addosso come acqua, che sono permeabile alle cattiverie partorite da bocche larghe piene di eco, che dovrebbero essere scritturate per sceneggiare l’ultima delle telenovelas spazzatura.
Non sono una guerrigliera armata, non avevo ideato tattiche insurrezionali per conquistare un palco che (per me) non esiste, non avevo progetti cinematografici da attuare, non conoscevo l’anziano simpatico signore (che prima o poi avrò la fortuna di incontrare per spiegargli la soluzione della vita) e nemmeno ho usato violenza fisica con lui (so bene quanto è fondamentale l’integrità del femore ad una certa età), per altro, non saprei nemmeno come attuarla, oltre a non condividerla. Non è neanche questione di vittima o carnefice che tanto piace al pubblico, soprattutto ai presenti in loco, non è questione di minimizzare l’accaduto, sperando che il cemento della piazza potesse trasformarsi in sabbia dove nascondere l’accaduto, non è un milione di altre cazzate che sono state messe in giro per screditare la mia persona.
Ebbene, deludente epilogo: sono ancora qui, con un piccolo segno che brucia ancora, anche senza sale. Non sono in cerca di raccogliere “scuse” non sentite, ma le tante persone che conoscevo in quella piazza, che non hanno mosso un dito, in pubblico o privato, in nome di un’ideale politico che ha eclissato la componente umana, che non hanno saputo dimostrare solidarietà per l’accaduto, ecco proprio loro sono scolpite nella mia testa con un nome e un cognome. Staranno in quella lista della spesa del “non perdono” per sempre, come monito per come non vorrò mai essere.
Il mondo è piccolo e la strada è lunga, non si può mai sapere cosa accade alla prossima curva. Continuerò ad essere Valentina, quella che grazie a Dio (e senza l’aiuto di rosari o invocazioni) sa parlare e raccontare il mondo.
Vado a riprendermi in braccio il mio mondo, torno a sorridere con una consapevolezza in più: le persone deludono non per il ruolo conferito, ma per l’umanità che barattano.
ph. Daniele Curti.
Al comizio di @matteosalvinimi nel mio paese è successo questo. Per me la libertà sarà sempre partecipazione, anche quando mi strapperanno le parole da sotto le ruote #perdire pic.twitter.com/0QtmvizD6V
— Valentina Tomirotti (@valetomirotti) June 3, 2019