Sono molto combattuta nel mettere insieme queste parole perché non entrino di diritto nell’imbuto del fraintendimento, ma non sono una fonte inesauribile di ispirazione per il resto del mondo e ogni tanto è giusto dirlo.
In questi giorni è uscito un video su Freeda che ho girato qualche settimana fa a Milano, sul tema degli odiatori seriali in rete, gli haters. Ho raccontato il mio punto di vista su come ci si sente a ricevere commenti offensivi sul web per qualcosa che si posta. Li reputo progetti sociali, non semplici video, perché servono a trattare temi che spesso non trovano il giusto linguaggio per arrivare a tutti. Come è normale in queste situazioni, anche estreme a livello comunicativo, il pubblico si scatena, le fazioni si dividono tra favorevoli e contrari.
I commenti negativi ora non li prendo nemmeno in considerazione, sappiate che ho già risposto a tono, perché questo rimane il mio sport preferito.
Sono arrivati tanti messaggi, commenti, dm che hanno tutti un comune denominatore, un fattore positivo al quale io non so più rispondere: “Come fai ad essere così?” e di getto mi viene da rispondere “così come?”: blasfema, logorroica, invincibile, tremenda, profonda, ditemi come?
Secondo molte persone, noi disabili siamo questa figura nemmeno troppo mitologica di dubbio miscuglio genetico tra un animale, una persona e una divinità, siamo percepiti come ottimi oggetti da strofinare per acquisire potere e per potere intendo qualcosa che ti renda le giornate migliori. Difficilmente per gli altri che ci percepiscono come un programma tv in 2° serata possiamo essere normali lavoratori, non siamo gente reale, ma siamo una fonte inesauribile di ispirazione. Vi sto per rivelare un segreto: non sono sul web con questo obiettivo, ma per sbugiardare chi vi ha raccontato un mondo disabile che non esiste. Vi hanno mentito. Ci hanno fatto imparare a memoria che la disabilità è qualcosa di negativo e che quindi vivere con dei limiti ci rende eroi. Mi incazzo quotidianamente perché il 90% di questa colpa è per un uso sbagliato di comunicare e in questo imbuto, l’uso sbagliato dei social non facilita. Avete presente tutte quelle immagini che circolano su Facebook, ad esempio, che rappresentano bambini con malformazioni o ricoverati per tumori o con la sindrome di Down, dove viene richiesto di cliccare mi piace e condividere, oppure chi indossa un arto a protesi e viene considerato eroe perché è riuscito a correre. Io la chiamo pornografia motivazionale, perché riducono ad oggetto una categoria di persone a beneficio di un’altra. Quelle immagini portano al pensiero che per quanto la vostra vita sia problematica, c’è sempre qualcuno che sta peggio.
Potrei essere quella persona, cosa succederebbe?
Quelle foto non vanno condivise, commentate, quelle foto vanno segnalate perché sono architettate ad arte per trasformare il vostro click o like in qualcosa di monetizzabile per loro, facendovi fare una pessima figura umana. Spesso sono confezionate ad arte o sono false, sicuramente ledono la privacy altrui ed è reato.
Gli altri pensano di me che sia coraggiosa a prescindere o fonte d’ispirazione perché mi manca qualcosa, ma non si rende conto che la vita non è solo corpo. Ci sta, racconto quotidianamente la realtà di una vita non proprio comoda, ma veniamo rese disabili più dalla società in cui viviamo, invece che dalle nostre patologie.
Usare il proprio corpo al meglio delle nostre capacità non è una rarità, è vivere secondo i mezzi a disposizione. Non fateci pesare anche questo. Fateci i complimenti per una laurea, per un traguardo lavorativo, per una nascita o un unione, ma non vedete l’eccezionalità nella sopravvivenza. Ci rimarreste male davanti ad una risposta secca o ad un grazie non ricevuto.