Sapete che ho Mantova cucita addosso, in un rapporto di odio-amore, la mia città spesso mi regala esperienze perdifiato, fisicamente e non. Il Festivaletteratura è proprio una di queste: 260 eventi, spalmati su 5 giorni, hanno acculturato cittadini, turisti e letterati, arrivati da tutta Italia ed Europa, estimatori di questo festival letterario dal 9 al 13 settembre, salutando l’estate e facendo l’occhiolino all’autunno. #FestLet
Chi vive a Mantova, sa che il Festival non è caratterizzato solo dalla frenesia nei giorni degli eventi, questa è una vera macchina da guerra, che da 19 anni non arranca mai: la scelta degli autori, le location, le famose magliette blu volontarie e paladine dei nervi a fior di pelle, il comitato organizzatore che, come un piccolo esercito di carta, armato di libri e parole, sveglia Mantova e mette sotto la luce le grandi potenzialità della nostra città, spesso sottovalutata, e poi il pubblico, il vero carburante di questa corazzata.
Per non uscire di senno, bisogna darsi delle regole: quest’anno ho scelto una decina di eventi distribuiti nei vari giorni. A molti ho rinunciato, ma credetemi che il vortice festivaliero è massacrante e avrei rischiato di fare indigestione di appuntamenti diventando una spettatrice sterile. Al Festival i libri sono protagonisti non invadenti, poi ci sono gli scrittori, di riflesso, che portano la loro esperienza in un dialogo assolutamente aperto col pubblico, che brama di conoscere ogni segreto e di incontrarsi con altri simili per improvvisi reading e scambi di opinioni di ogni temperatura. E la letteratura è tutta lì nell’aria, vincitrice assoluta.
Mantova trasuda storia ad ogni ciottolo, si sposa perfettamente per le moltitudini di location che offre, per contenere tutto questo ben di Dio. Piazza Castello è la location clou del festival, il contenitore perfetto per ospitare autori di calibro che richiamano orde di pubblico (spesso vichingo) e quest’anno l’ho scelta come base, praticamente una 2° casa.
Il 1° giorno ho scelto eventi che avessero come filo conduttore la politica/guerra/ popolo. Ho aperto il sipario con l’evento di Gino Strada, che intervistato da Roberto Satolli, ha parlato di Ebola e dell’anno in cui Emergency ha operato in Sierra Leone (e continua) lottando contro questo virus attraverso le pagine del suo ultimo libro “Zona rossa”, che non è solo la storia di Ebola, ma di un modo di concepire la sanità. Un libro di impegno civile, ottimo per costruire buoni cittadini e capire come la sanità non debba classificare i cittadini in A e B ed per Emergency bisognerebbe avere una medicina (gratuita) che tagli fuori il profitto (circa 25 miliardi €/anno) e non i bilanci, in modo da poter dare tutte le prestazioni che servono senza ulteriori costi per i cittadini. Questo è un obiettivo dell’organizzazione: aprire un ospedale in Italia che non costi niente, ma proprio niente altro per i cittadini.
Poi via, con l’evento di Edgar Morin e Tariq Ramadan, dove si è parlato dei rifugiati che stanno popolando le pagine di cronaca internazionale di questi giorni. Non sono migranti in cerca di benessere, ma gente che scappa per sopravvivere a dispetto di un Unione Europea silente che ha atteso la foto di un bambino morto per muoversi.
Il 2° giorno all’evento del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone che ha parlato di come Tangentopoli non ha rappresentato la fine per la corruzione in Italia, anzi, si sono messi in moto dei meccanismi che l’hanno addirittura favorita, portando l’esempio anche di Expo e di come la portata di quest’evento sia molto importante per il nostro Paese, grazie al quale anche il mondo degli appalti ha subito forti cambiamenti e regimi di trasparenza più rigidi, e, da quel momento in poi nessun appalto e’ stato oggetto di un ricorso al Tar né tanto meno di un’indagine giudiziaria. Evento meno carico ed efficace per sfiatare il cervello, quello che ha visto sul palco il grande mattatore del Festival Beppe Severgnini. Fissato con i viaggi e il movimento delle persone come ottima merce di scambio, ha articolato lo show attraverso la lettura della cosiddetta “letteratura di viaggio” del ‘900 commentando alcune pagine dei racconti di Mario Soldati, Luigi Barzini jr., Guido Piovene, Oriana Fallaci, Egisto Corradi, Goffredo Parise, Giorgio Manganelli e Italo Calvino.
Il 3° giorno un attimo di pausa scegliendo un unico evento serale, Corrado Augias nella lezione sulle ultime 18 ore di Gesù, dove come a metà tra un film e una lezione di teologia, ha provato a dire la sua sul processo che infiammò Gerusalemme una Pasqua di duemila anni fa.
Il 4° giorno è stata la giornata campale, peggio di una maratona, ho seriamente messo in ginocchio i miei poveri neuroni, obbligandoli all’attenzione di 3 eventi consecutivi: Stefano Rodotà, Alberto Angela e Romano Prodi col premio Nobel Whole Soyinka. Il primo ovviamente di natura politica, con uno degli intellettuali italiani che ha dimostrato più attenzione al destino dei diritti fondamentali degli individui e della società nelle acque incerte del nuovo millennio.
Come essere sul divano di casa, davanti alla tv e ad una puntata di Ulisse, Alberto Angela, con una lezione-spettacolo, autore de “I tre giorni di Pompei”, ci ha regalato un commovente affresco della tragica eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, raccontandoci dettagli talmente particolari da vederli e annusarli. Spolverata dalla storia, sono tornata all’attualità con il dialogo fra il premio Nobel sudafricano Wole Soyinka e Romano Prodi, più volte negoziatore Onu in Africa discutendo sull’importanza dell’Africa come futuro del mondo. L’Africa ha tutte le caratteristiche per farcela: ha risorse, naturali e umane, e voglia di farcela, ma divisi in 54 Stati non ce la faranno. La difesa all’Unione degli stati africani è importantissima, con i suoi limiti, ma è lo stesso problema dell’Europa, manca una politica comune. E Wole Soyinka, il nigeriano premio Nobel della letteratura: «Dobbiamo prendere in mano noi africani lo sviluppo, così smetteremo di parlare degli sfruttatori stranieri».
Ultimo giorno, arrivata quasi a pile esaurite, rapita dall’evento voluto da Eni, protagonisti Neri Marcorè, Mario Calabresi, Lorenza Bravetta e il fotografo Jodice sulla forza delle immagini che riesce a smuovere le coscienze: la fotografia di Aylan ne è una chiara dimostrazione, ma determinante è anche il momento in cui matura la capacità di percezione del messaggio. Il mio festival è terminato domenica pomeriggio con l’evento di Marco Sguaitzer, combattivo contro la SLA, all’immobilità ha opposto il dinamismo e il coraggio, alla mancanza della parola parlata, la forza di quella scritta, che ha permesso di conoscere la sua vita fatta di rinunce improvvise per colpa della ‘stronza’ (la malattia’). L’evento di Marco è stato carico di emozione, il suo libro che sfoglia la sua vita fatta di eccessi prima e di privazioni poi, ti regala una nuova visione della vita: la fortuna di cogliere gli attimi.
Festivaletteratura chiude col botto: boom di presenze che riconfermano ancora una volta, quanto la difficoltà di unire la cultura ai libri e ad un pubblico così eterogeneo, sia appagata dal clima di euforia che anima la mia città almeno 5 giorni all’anno. E quando si chiude il sipario rimane solo una cosa: nostalgia!